I MUSEI DELLA CRUDELTA’

616

Sono le 22  di un venerdì sera quando mi telefona un’amica per propormi di andare, nel weekend, a vedere la mostra su Frida Kahlo, da pochi giorni inaugurata a Milano.

Presa, come al solito, da mille cose, avevo, in effetti, perso di vista luoghi e tempi di una serie di mostre che volevo comunque riuscire a non perdere ma, essendo impegnata tutta la domenica, rilancio, a mia volta, di combinare per il fine settimana successivo, così da avere anche il tempo sufficiente per richiedere un accredito giornalistico all’ufficio stampa del museo … anche se lì per lì non ricordavo esattamente quale museo …

Avendo però lei già preso impegni per il weekend successivo, mi propone di combinare l’indomani. Ovviamente sarei stata anche contenta di soddisfare immediatamente un tale slancio ed entusiasmo, visto e considerato che scrivere un articolo su Frida Kahlo mi sembrava stimolante da diversi punti di vista), ma…

Beh in realtà c’erano un sacco di ma … primo fra tutti  questa “moda” recente dei musei italiani (esclusi quelli statali – e neanche tutti – e pochissimi tra gli altri) di pretendere, oltre al tesserino professionale per i giornalisti, anche la richiesta di accredito anticipata(aspetto su cui tornerò dopo per spiegare meglio la questione).

Il secondo invece riguarda la prenotazione…

“Se non si riesce a fare un accredito dobbiamo almeno prenotare”, dico, “altrimenti rischiamo di fare code” … soprattutto di sabato, soprattutto se si va a vedere una mostra di quelle “che non si possono perdere” e soprattutto se il museo in questione è uno di quelli non troppo efficienti in fatto di organizzazione e logistica (che in Italia non sono pochi)…

Anche perché occorre considerare che, anche nell’arte, ormai si seguono i criteri della moda … c’è la mostra che devi assolutamente vedere così come una volta c’era il best sellers che dovevi assolutamente leggere (perché ne parlavano tutti).

Oggi invece, che non legge quasi più nessuno, si va alle mostre più o meno con lo stesso criterio con cui si è sempre andati all’inaugurazione di un nuovo locale di tendenza e il fatto di esserci andati lo si può sfoggiare come si farebbe con un accessorio: quello che devi assolutamente avere perché sennò non sei nessuno (tipo il giubbotto di pelle o lo stivaletto tacco 12 con plateau alto anche sul davanti).

Ma facciamo un passo indietro e spieghiamo la faccenda dell’accredito.

Tutti i musei del mondo, tranne quelli nostrani, consentono ai giornalisti l’ingresso gratuito semplicemente mostrando il tesserino professionale: anche perché questi ultimi magari non ci si recano per passatempo, o non solo per quello. Magari ci vanno perché devono o vogliono scrivere un articolo sulle opere o gli oggetti in esposizione. In effetti, in tutto il resto del mondo dove mi sia capitato di andare a visitare musei, mi è sempre bastato mostrare il tesserino professionale e nessuno mi ha mai fatto storie, anzi: che si trattasse del Pergamon Museum di Berlino (il secondo museo più visitato al mondo) piuttosto che Santa Sofia a Istanbul … giusto per citarne due tra i più famosi e visitati (dove per altro ho fatto pochissima coda) …

E questo per parlare dei Musei con ingresso a pagamento perché poi, se andiamo a vedere, nel resto del mondo, è anche pieno di musei gratuiti o con ingressi a prezzi talmente ridotti o simbolici, che qui ce li possiamo giusto sogniare …

Forse perché hanno capito qualcosa più di noi su come funzionano, ad esempio, il marketing, la comunicazione, il turismo, il diritto alla cultura etc etc …

Comunque, alla fine decidiamo di salpare alla volta di Milano il giorno successivo.  Decisivo è stato sapere che la mostra era allestita a Palazzo Reale (almeno così sembrava stando alle parole della mia amica). Dunque non abbisognava richiedere accrediti, né prenotare.

In effetti, Palazzo Reale è uno dei pochi musei in Italia che ancora si regola come il resto del mondo (senza necessità di richieste preventive) e per di più, devo dire, che non mi è mai capitato di dover fare chissà che code nemmeno in quei rari casi in cui, avendo dimenticato il tesserino, mi mettevo in fila per acquistare il biglietto.

Peccato solo che arrivate a Palazzo Reale, non ci fosse nessuna mostra su Frida Kahlo.

La mia amica si era confusa e così abbiamo dovuto scarpinare fino al Mudec, per altro sotto un sole cocente che non ci saremmo mai aspettate.

Appena entrate abbiamo subito adocchiato una coda di circa 25/30 persone, al che mi sono azzardata a chiedere se ci fosse una cassa per i giornalisti, che ci desse almeno modo di velocizzare un po’ i tempi …anche perchè è dura dover girare la mostra più lentamente degli altri per prendere appunti e foto se prima ti sei fatto un’ora di coda in piedi…

Appena mi azzardo a formulare la domanda, il ragazzetto allo sportello mi guarda dall’alto in basso e con tono seccato e saccente (come se stesse redarguendo una scolaretta che non ha fatto i compiti),  mi dice che evitare la fila è un privilegio di quelli che si sono presi lo scomodo di richiedere l’accredito.

E già solo per questo avrei avuto voglia di prendere un telefono e di parlare con qualche responsabile, tanto per consigliar loro di investire un po’ di tempo e denaro per far seguire un corso di gentilezza al proprio personale … se non fosse che poi, una volta arrivata a casa, ho realizzato di avere troppo poco tempo libero a disposizione per potermi permettere di sprecarlo in questioni di questo genere …

Ma la voglia di discutere mi era comunque già passata prima, e cioè mentre il ragazzetto mi specificava che il tesserino mi dava, al massimo, diritto a due euro di sconto …

Cosa puoi dire a della gente che ti propone una cosa del genere? Al massimo puoi dirgli che una proposta del genere è quanto meno imbarazzante … per loro, ovviamente … ma è all’evidenza che non lo capirebbero …

Mi sembra talmente ovvio che la questione non siano i soldi …

La questione è che entrare gratuitamente sarebbe un mio diritto. Tutto qui … ma, si sa, in Italia i diritti sono una questione aleatoria e finisce che ti prendono per sfinimento … doversi battere per farsi costantemente le proprie ragioni, sarebbe talmente faticoso che ti conviene lasciar perdere …

Dunque ormai eravamo lì, quindi tanto valeva mettersi in coda … Anche perchè uno a quel punto dice: in fondo, che ci vorrà mai a fare un biglietto a 25 persone? Mezz’ora?

… Devono solo incassare dei soldi, sporgere un biglietto e nel peggiore dei casi dare un resto…

E invece dopo un’ora eravamo ancora lì … L’andamento della coda era lentissimo. Ogni tanto facevano passare un blocco di 4/5 persone, ma tra uno scaglione e l’altro passava un sacco di tempo.

Faceva per altro un caldo disumano per via del riscaldamento molto alto e così, già dopo la prima mezz’ora eravamo assetate, sudate, disidratate e al contempo bisognose di una tappa alla toilette.

In più io avevo una borsa pesante che mi stava svirgolando una spalla, la schiena e la postura (che ad averlo saputo mi sarei piuttosto portata appresso uno zainetto).

Questo fisicamente parlando, perché moralmente, invece, dopo circa un’ora ci sentivamo quasi alla stregua dei deportati nei campi di lavoro forzato. Di quelli che chiudevano nei vagoni ferroviari senza né acqua né cibo …

Ciliegina sulla torta, quando finalmente approdiamo alla biglietteria, mi azzardo a chiedere come mai la fila è così lenta e scopro che lo è volutamente, perché nelle sale in cui la mostra è allestita, si può entrare solo in pochi per volta e scaglionati … per questioni legate alla sicurezza, ho supposto (la forza di chiedere una qualche spiegazione non ce l’avevo più da un pezzo). Avevano cominciato a farmi male anche i piedi, nonostante mi fossi messa i tacchi bassi (in questo almeno ero stata previdente).

L’unica fortuna è stata quella di poter ammazzare il tempo (e la coda) chiacchierando, cosa che però ci ha distratto dall’eventualità di fare dei turni per correre in bagno o per andare ad acquistare almeno una bottiglietta d’acqua al bar … ci abbiamo pensato quando ormai i sintomi della stanchezza e del malessere fisico non si poteva più provare a prevenirli …

In ogni caso, obbligare la gente a sopportare una coda lunghissima, solo perché il numero di persone ammesse nelle sale della mostra è limitato, è una cosa da matti. Anzi direi quasi da criminali.

Avrebbero potuto sveltire la coda (sarebbe bastato aprire qualche cassa in più) e consentirci di aspettare alla caffetteria, comodamente sedute a un tavolo a sorseggiare un caffè o quant’altro. O ancora meglio, visto il caldo eccezionale di quei giorni, consentirci di starcene seduti nel cortiletto antistante al museo, sotto l’ombra delle piante. Almeno lì un minimo d’aria fresca circolava.

Poi mi è venuto di pensare che magari questa è una strategia volutamente deterrente, magari studiata a tavolino, tanto per far passare la voglia alla gente di presentarsi senza prenotazione e/o senza accredito.

O, peggio ancora, magari è una strategia di marketing per creare l’illusione che ci sia più gente di quella che in effetti c’è.

Un po’ come quando si pagano le comparse ad un evento per far credere che l’evento sia stato preso d’assalto …

In questo caso il trucco consisteva nel dare l’impressione, visti i tempi di attesa, che la coda fosse molto più lunga … come se invece di 25 persone all’ingresso ce ne fossero 50.

In fondo se un museo o uno spazio espositivo si crea la fama d’essere costantemente preso d’assalto, la gente sarà più incuriosita o invogliata ad andarci … la psiche umana purtroppo funziona così … ed è sempre troppo facile sfruttare questi trucchetti … ma poi alla lunga, mi domando … è una politica che paga veramente?

La gente alla lunga non si stufa poi di andarci?

Personalmente, per come mi sono sentita tratta e per lo stato in cui sono tornata a casa, e cioè stanca, arrabbiata, disidratata e senza neanche essermi goduta l’esposizione … mi è passata ogni voglia di tornarci in futuro … un po’ come quando rinuncio ad un paio di belle scarpe solo perché in quel negozio, la commessa è antipatica … e magari ripiego su un altro modello che mi piace meno, perché a vendermelo è qualcuno di molto più simpatico o gentile.

E questi sono, più o meno, i motivi per cui, della mostra, non dirò nulla … perché davvero, approdandoci nelle condizioni in cui ci sono approdata, non sono riuscita a capire se mi sia piaciuta o meno …

L’unica cosa che posso dire è che, parafrasando il drammaturgo e regista Antonin Artaud, questi sono criteri per un museo (invece che per un teatro) della crudeltà o quanto meno per un museo che punisce la spontaneità e l’entusiasmo delle persone con scadenti strategie di marketing.

 

Articolo precedenteDIGITAL EDUCATION
Prossimo articoloPREFAZIONE AL LIBRO “IL MIO GEMELLO MAI NATO”