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IL GOSSIP DAL ‘700 AD OGGI TRA GUIDE PETTEGOLE E “RELAZIONI PERICOLOSE”

WB2014_LLDC-4_99d8f0ca (1)Sembra che il noto scrittore e filosofo francese Voltaire facesse “circolare poesiole spiritose (che tutti leggevano avidamente e si facevano passare di mano in mano) per risvegliare l’attenzione su di sé e smentire le voci sulla sua morte. Peccato che si trattasse di voci che “lui stesso non smetteva di mettere in giro”. Il gossip, infatti, non è un fenomeno dei nostri giorni. Nasce nella Francia del Settecento come unica forma di comunicazione capace di eludere la censura dell’epoca. A spiegarcelo è la “Guida pettegola al Settecento francese” curata da Francesca Sgorbati Bosi, recentemente pubblicata da Sellerio, che offre uno spaccato del vivere quotidiano e delle abitudini dell’epoca dei lumi offrendo interessanti spunti di riflessione e di confronto tra presente e passato.

Il libro raccoglie centinaia di rumors o bruits (pettegolezzi appunto) che correvano di bocca in bocca e che venivano stampati su giornaletti clandestini oppure messi in musica o ancora riportati nei diari personali degli aristocratici e dell’alta borghesi che soleva fare vita di società. Tra questi vi sono anche resoconti di grandi scrittori (tra cui Voltaire e Diderot) oppure aneddoti riportati da altri ma che comunque li riguardano o li citano. Questi “micro racconti” trasmettono ai posteri atmosfere e mentalità di una Parigi spietata ma sempre con grazia e soprattutto con stile e grande senso dello humor, dove “il vizio non importa ma una figuraccia uccide”. Il gossip dell’epoca è infatti, per alcuni spetti, molto differente da quello di oggi. Molto più elegante, potremmo dire e sicuramente più arguto.

Le persone sapevano ridere degli altri ma anche e soprattutto di se stesse. Per “smontare” un motto offensivo o una provocazione gratuita, non si ricorreva a insulti o a prepotenze. Si faceva piuttosto ricorso alle armi dell’arguzia e dell’intelligenza o, al massimo del sarcasmo. Comportamenti e reazioni dalle quali oggi avremmo tutto da imparare. “Il pennivendolo Gacon ”, ripota ad esempio, uno di questi bruit “aveva scritto parole piene di veleno contro La Motte. Gli amici di quest’ultimo lo incitavano a rispondergli per le rime ma La Motte replicò: Non c’è niente da guadagnare da quelli che non hanno niente da perdere” e ancora, “Il re di Prussia aveva chiamato un medico famoso e chiacchierando con lui gli chiese: quanta gente avete ucciso in vita vostra? – Non tanti come vostra maestà – rispose quello – e con molta meno gloria”.

“Il marchese di Gouffler (altro esempio) fece offerte allettanti a madamoiselle Doligny, che furono rifiutate. Allora la chiese in moglie e le inviò il contratto di matrimonio pronto per la firma: ella gli rispose che si stimava troppo per essere la sua amante e troppo poco per essere sua moglie”. Un esempio, mi verrebbe da dire, non solo di furbizia ma anche di gran diplomazia, assolutamente da imitare quando si intenda demotivare un corteggiatore insistente.

Secondo lo scrittore Barbey D’Aurevilly, in questi bruits, “vi è più storia che in molte pagine di libri. Anche se, a ben vedere, parecchi romanzi dell’epoca restituiscono spesso questa stessa atmosfera di arguto divertimento e leggerezza, seppur talvolta calata in contesti o narrazioni drammatiche. Ne è un esempio “Le relazioni pericolose (Les liaisons dangereuses)”  di  Choderlos de Laclos del 1782, noto ai più, per la trasposizione filmica di Stephen Frears con Michelle Pfeiffer, Uma Thurman, Glenn Close e John Malkovich, anche se molto più fedele al testo è la versione filmica meno conosciuta di Milos Forman intitolata “Valmont” e interpretata da Colin Firth e Annette Bening.

“Se una donna può concedersi un’avventuretta, che sia sola o no, poco importa. Può condurre magnificamente i suoi maneggi, sotto il naso del caro consorte!”. Recita così, infatti, uno dei personaggi femminili secondari nella versione di Milos Forman.

All’epoca, il matrimonio non era una questione d’amore ma di affari.  Essendo  combinati, i matrimoni, non erano basati su attrazione fisica o sentimenti. Questi anzi erano una questione del tutto ininfluente. “Quel che ci si augurava” spiega l’autrice della Guida pettegola ”era tuttalpiù che tra i due promessi sposi, nascesse magari con il tempo, una buona amicizia reciproca, almeno quel tanto che bastasse ad evitasse incidenti dannosi per gli interessi del casato e della famiglia”.

Era consuetudine per tanto che entrambi i consorti avessero un amante, poiché amore e passione (o anche solo affinità elettive), si cercavano fuori dal matrimonio. Pressoché nessuno si sognava, infatti, di confondere il matrimonio con l’amore o la passione, anche se in taluni casi poteva succedere che coincidessero (ma era piuttosto raro).

Le corna erano dunque un fatto considerato nella norma e di conseguenza sempre ben tollerato. Non solo da parte delle mogli ma anche da parte dei mariti. Non come oggi che per un tradimento si rischia di finire ammazzati. Soprattutto se a tradire è la donna.

Durante gli anni del regno di Luigi XV, in particolare, era considerato di cattivo gusto per un marito considerarsi geloso della moglie, figurarsi fare uno scandalo per qualche suo capriccio. Ma in assoluto, nonostante la legge condannasse le donne adultere ad essere rinchiuse in convento (e a perdere il diritto sulla loro dote), nessuno quasi mai ricorreva a tali misure poiché socialmente era ben accettata l’idea che “anche le donne avessero diritto, se non all’amore, almeno alle gioie del sesso”.

Eccovi un paio di esempi di menage matrimoniale riportati in diversi diari e/o resoconti: “Monsieur de Rochemont, la cui moglie conduceva vita molto galante, una volta al mese dormiva in camera con lei per prevenire i pettegolezzi se lei fosse rimasta incinta”. La mattina seguente se ne andava dicendo “succeda quel che succeda, io sono a posto”. E ancora,  “Mio marito mi è stato così infedele”, soleva dire la duchessa di Lauraguais, “che non sono nemmeno sicura di essere la madre dei suoi figli”.

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