TRA I COLORI E I PROFUMI DEL MAROCCO

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Era l’agosto del 1999 quando mi decisi, su suggerimento del mio insegnante di ginnastica, ad imbarcarmi per il mio primo viaggio in Marocco. Sino ad allora avevo viaggiato solo in Europa.

“In Marocco ad agosto? Ma c’è un caldo spaventoso!” mi disse un venditore ambulante marocchino a cui avevo annunciato la mia decisione. “Io in estate” specificò “ io non ci vado mai!”. Ovviamente avevo appena prenotato e pagato il tour.

Che cosa avevo fatto? Proprio io che non sopporto il caldo … In più mia madre mi ricordava le mie frequenti emicranie e, come ebbi modo di scoprire appena partita, sugli aerei si poteva ancora fumare, tant’è che ad un certo punto, sul velivolo, sembrava d’essere in un bagno turco con il vapore di fumo di sigaretta che ti offuscava anche un po’ la visuale…

Questo fu l’inizio di un tour che durò circa 14 giorni. Un tour immenso, al termine del quale però, non odiavo più il caldo e non avevo più timore di ciò che era diverso dalle mie abitudini occidentali. Insomma, oltre che una panoramica da nord a sud del paese, per me fu un pieno di emozioni che mi trasformò quasi completamente.

Paesaggi diversi ogni giorno, città, suoni, odori, colori, mare, montagne brulle ma anche verdi di ulivi e poi il Re deserto.

Non avevo mai visto prima di allora uno spettacolo così particolare. Ne avevo quasi timore. Non potevo credere di essere lì, in sella al “mio” dromedario (ndr. animale bizzarro, lento e a volte borbottone perché quando qualcosa non gli va a genio … urla!) la cui seduta non è propriamente comoda. Anzi. A dirla tutta si rischia anche di avere qualche dolorino il giorno dopo. Nulla però che non passi dopo un po’.

Nel deserto non c’é nulla, ma questo apparente nulla è una delle cose più affascinanti di cui abbia mai avuto esperienza. Anche il cielo di notte: un tessuto nero ricamato di strass.

Il sapore che ricordo con più piacere è quello del tè con le foglie di menta fresca. Anche se il caldo è elevato il tè viene servito a temperatura ambiente, cioè bollente! Ma vi assicuro che è gradevolissimo e che un secondo bicchierino lo accetterete con altrettanto piacere. Per queste popolazioni il modo in cui viene servito è quasi un rito. Il tè viene versato alzando in alto la teiera di modo che, cadendo nei bicchierini, si formi una sorta di schiuma.

In tutti i suk (ovvero i mercati) arriva immediata all’olfatto la fragranza delle spezie. Difficile dire quale di esse prevalga, sono tutte intense e messe l’una accanto all’altra sulle rispettive bancarelle. Un vero inebriante potpourri.

Oltre tutto un giretto nei suk è sufficiente per comprendere meglio la vita quotidiana della popolazione locale.

Visitai anche città poco conosciute e allora escluse dai circuiti turistici. Ricordo con piacere Taroudant e Tafraout anche se entrambe molto calde, perché all’interno del Paese. Quest’ultima ha una particolarità: le rocce colorate. Un artista belga, forse un po’ bizzarro, volle, infatti, colorare alcune rocce presenti appena fuori dall’abitato. Colore principale scelto dall’artista fu il blu ma spicca anche il rosso. Questa sua originale idea ha poi conferito alla città, grande fama.

Altra cittadina poco conosciuta che visitai fu Akka. Non so esattamente perché, ma mi colpì molto, soprattutto rispetto a quelle viste precedentemente. Probabilmente per la sua atmosfera.

Nell’hotel in cui eravamo ospitati vidi oltre tutto, per la prima volta, una donna che faceva la cameriera. Cosa piuttosto strana perché nelle precedenti strutture le donne erano per lo più relegate alla cucina e alla pulizia delle camere.

Soprattutto le donne di origine berbera indossavano vestiti tradizionali locali e un foulard nel quale venivano raccolti i capelli. La donna di Akka invece, era disinvoltamente vestita all’occidentale con jeans e maglietta. E questo mi colpì molto.

Come dimenticare infine l’acquisto dei francobolli.

Con una mia amica di viaggio andai un pomeriggio, a passeggiare senza una meta, per lo più per curiosare.  Ad un certo punto vedemmo forse l’unico negozio aperto nei paraggi dell’albergo.

All’esterno c’erano degli espositori con riviste e quotidiani, all’interno invece … un po’ di tutto e tutto un po’ alla rinfusa, ma in modo simpatico. Pensammo di spedire delle cartoline e quindi di acquistare dei francobolli. Un’idea carina e un po’ diversa dal solito perché, in fondo, chi si prende ancora la briga di spedire cartoline?

Al bancone arrivò un ragazzo in età più o meno adolescenziale, ci guardò un po’ perplesso e noi guardiamo lui. Poi ci decidemmo a chiedere i francobolli. Non rispose, andò via e tornò con un libro da cui estrasse un francobollo, ma ci sembrò che il suo valore non fosse corretto. La mia amica con una certa  nonchalance, gli disse in francese che il francobollo per l’Italia probabilmente sarebbe costato più di quanto lui stesse chiedendo. Il ragazzo se ne andò di nuovo e tornò, sempre in assoluto silenzio, con altri francobolli, facendoci capire in qualche modo di servirci da sole.

Contammo quanti ce ne sarebbero serviti, glieli porgemmo e chiedemmo il totale. Lui prese la calcolatrice e tentò alcune volte di fare il totale ma poverino, non aveva avuto nessun cliente prima di allora che volesse così tanti francobolli per l’Italia. Fece un po’ di confusione, così ci offrimmo di aiutarlo e lui ci lasciò la calcolatrice e si mise a servire altri clienti.

Facemmo il conto e per correttezza glielo mostrammo, ma lui ebbe in noi una fiducia assoluta. Dal suo volto si intuiva, infatti, che non avesse compreso bene, ma accettò i nostri soldi e noi i suoi francobolli.

Alla fine gli chiesi se avessi potuto fargli una foto. Perché un personaggio così, chissà quando mi sarebbe capitato di incontrarlo di nuovo …

Il ragazzo fu felice della mia proposta e orgogliosamente si mise in posa per lo scatto!

Ogni tanto mi ritorna in mente quella scena, mi è rimasta talmente impressa che la ricorderò sempre con simpatia.

Questo aneddoto mi da l’occasione, tra l’altro, per una raccomandazione importante: è buona norma chiedere sempre alle persone se vogliano o meno essere fotografate, onde evitare eventuali reazioni spiacevoli.

Ma ho anche un suggerimento: “se avete delle perplessità, se non avete viaggiato molto, siate leggeri, abbandonate gli schemi tradizionali, lascerete così spazio alle sorprese e alla scoperta”.

In questo viaggio conobbi tra l’altro, anche una guida locale di nome Said con cui sono rimasta in contatto in tutti questi anni e che, all’epoca mi fece partecipe di tante curiosità e tipicità del luogo. Nel frattempo lui ha avviato un’agenzia che propone tour classici o personalizzati, a seconda delle esigenze (https://www.marrocosviagens.com) e che mi sento di poter consigliare a chiunque voglia intraprendere un’avventura in Marocco con una guida locale che parla italiano e della quale si può approfittare per scoprire la vita autentica che si svolge in questi luoghi.

Bon Voyage!

 

 

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