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BLOU DAVILLE: TRA SUONI CATTIVI E LEGGEREZZA ROCKABILLI

A Torino funziona così. E funziona così da sempre. Puoi essere figo, curare l’immagine in modo impeccabile e gestire la comunicazione come un tycoon di Wall Street. Puoi seguire le tendenze  ed essere al centro della “scena” (essere “hype” , per usare la parola del momento). Ma, quando si parla di musica e di rock bands, se non sei bravo, davvero bravo, non ti si fila nessuno. Almeno non da queste parti. Non è un caso che il gruppo che oggi va per la maggiore sulla scena nazionale del rock indipendente – con all’attivo alcune date sold out sulla bocca di tutti ed un album che è  già un must – sia torinese e che faccia ovviamente ottima musica, senza limitarsi a seguire (o anticipare) i gusti del momento. Parliamo dei Blou Daville e del loro primo convincente lavoro “Red Velvet Motel”, uscito lo scorso maggio e ancora richiestissimo e “scaricatissimo”. La formula è quella giusta:  i suoni e l’ atmosfera sono quelli propri del rock Tex mex e New country, con inevitabili rimandi ad eroi del genere come Willy De Ville e Urge Overkill.  Ma la consistenza dei brani che scorrono via via, piacevolmente è frutto soprattutto del lavoro dei componenti del gruppo, provenienti da esperienze musicali variegate e ben assortite. Sono musicisti veri  e ci tengono a farlo vedere. Così in alcune tracce come “Life of every day” o “Robbery Dogs” la sensazione di ascoltare la colonna sonora dell’ultimo film di Tarantino si stempera e si arricchisce con le note ruvide e graffianti della chitarra di Lou Morellato e con il beat trascinato e sporco del batterista Skinner. Due che hanno dalla loro un lungo trascorso nel panorama rock hard core e che sanno mischiare quei “suoni cattivi” con la leggerezza del rockabilly e di certa musica anni 50 di cui sono assidui consumatori. L’immagine che non lascia nulla al caso (come  traspare dalle foto che accompagnano il disco, con utilizzo di luci soffuse e toni invariabilmente bianchi e neri, rafforzati dal rosso di una certa filmografia pulp) e l’atmosfera da locale equivoco di frontiera (volutamente fanè), si ritrovano anche nel sound di brani come “Martini at 9 A.M.” e “I mean it’s love”. Ma anche in questo caso non ci si limita “al prodotto ben confezionato” e la sensazione di trovarsi di fonte a qualcosa di originale è data soprattutto dalla buona miscela delle due voci, quella calda e oscura di Valerio Dee e quella puntuale e tagliente della bella Lou C.  A rendere tutto ancor più credibile, l’apporto essenziale nella ritmica e nelle armonizzazioni del contrabbassista Marko Barbieri, professionista di lungo corso che si sa muovere tra gli spartiti con la stessa disinvoltura con cui sorseggia il suo Jack Daniel’s e che qui sa trasferire le giuste note blues e jazzy, frutto delle sue innumerevoli collaborazioni con i mostri sacri della musica nera nostrana. In conclusione il progetto funziona musicalmente assai bene e allo stesso tempo risponde alle tendenze del momento – come stampare l’album su vinile in tiratura limitata ed utilizzare testi rigorosamente in inglese. Il tutto riuscendo sempre a mantenere una loro personalità e a dire qualcosa di nuovo.  Per concludere, quindi, non solo i Blou Daville  risultano hipe,  avendo tutto, ma proprio tutto, per piacere (anche all’estero),  ma sono anche e soprattutto bravi. Ed il bello, il loro bello, è che non sembrano nemmeno farlo apposta.

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