IL COLORE NASCOSTO DELLE COSE E L’APPIATTIMENTO DELLE SOGLIOLE

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Sembra che, paradossalmente, più viviamo immersi in un contesto o in una società omologata (e omologante) e più siamo attratti dal diverso e/o dalla diversità, pur essendone, al contempo, spaventati.  Almeno stando all’ultimo film di Silvio Soldini, “Il colore nascosto delle cose”, che da un paio di settimane circola nelle sale cinematografiche.

D’altronde si sa, l’area del cervello che sovrintende alla paura è attigua a quella del piacere, per cui sovente le due cose procedono di pari passo e molti di noi sono attratti proprio da ciò che, al contempo, li spaventa o gli crea quanto meno un certo qual scombussolamento.

Il film però è solamente un pretesto da cui parto per fare alcune riflessioni, anche se, per farlo, non posso prescindere  dalla trama.

La storia è, in realtà, molto semplice, quasi banale, ma è condotta, sia dal regista sia dagli attori, con tale maestria che non penso si possa evitare di rimanerne in qualche modo toccati. Sono diverse, per altro, le persone che mi hanno riferito di esserne rimaste particolarmente colpite o addirittura coinvolte.

La protagonista femminile, Emma (interpretata da Valeria Golino) è una osteopata non vedente che ha perso la vista a 17 anni e conduce una vita anche gradevole, ma non certamente facile nonché basata su un equilibrio conquistato a fatica; quello maschile invece (Teo), è un pubblicitario quarantenne “stiloso” e di successo con  una fidanzata “stilosa” e di successo che però non disdegna di tradire con regolarità poiché le donne per lui equivalgono, per lo più, a conquiste da esibire con gli amici o a tacche da collezionare.

Inizialmente attratto da Emma (che è oggettivamente una bella donna ma non esattamente appariscente), Teo comincia a frequentarla,  ovviamente di nascosto dalla fidanzata (Greta) e, frequentandola comincia anche ad esserne coinvolto sentimentalmente, faticando però (e non poco) a farsene una ragione. Frequentare Emma significa, infatti, dover sempre fare i conti con il suo handicap, cosa che sembra essere, a volte, tutt’altro che  semplice, anzi.

Eppure la sensazione che si avverte, man mano che la storia procede, è quasi quella che ad attrarre Teo (che coltiva il disimpegno come stile di vita) sia proprio la diversità di lei, con tutte le difficoltà che questa comporta.

Se da una parte Emma è una donna di straordinaria sensibilità, capace di coinvolgere e di regalare intense emozioni, dall’altra è, infatti, anche una persona che necessita di tutta una serie di attenzioni e riguardi con cui lui non si è mai rapportato e con cui fà decisamente fatica a rapportarsi.

Eppure proprio la diversità di lei, con tutti i suoi pregi e i suoi limiti, lo travolgono sempre più. Se Emma fosse stata una donna normodotata come le altre, forse sarebbe, proprio come le altre, passata senza lasciare traccia. Sarebbe probabilmente entrata nel novero delle tacche o delle scommesse da collezionare.  In fondo anche quello che Teo prova per Greta non è che un sentimento tiepido e distaccato che sembra più dettato da consuetudini e apparenza.

Teo sembra dunque impersonare perfettamente quella forma di ribellione che a volte si risveglia e si manifesta con l’insofferenza nei confronti di un mondo dove la maggior parte delle persone sembra la replica di qualcun altra e dove le differenze si assottigliano sempre di più per lasciare spazio all’omologazione.

Mentre guardavo il film, chissà perché, mi è tornato in mente quello che la scrittrice Susanna Tamaro definisce il “processo di sogliolamento” della nostra società.

Per chi non lo sapesse le sogliole non nascono già piatte ma si appiattiscono col tempo per una questione di mera sopravvivenza, per passare cioè inosservate (acquattandosi sotto la sabbia) ed evitare i predatori.

Anche noi umani ci stiamo appiattendo come sogliole ma sembriamo anche, al contempo, gli scimmioni del film “2001: Odissea nello spazio” che danzano in circolo con le ossa in mano, ripetendo ossessivamente gli unici pochi suoni imparati che gli permettono di stare nel branco.

Teo, inizialmente, sembra proprio questo. Il prefetto prototipo dell’omologazione che ha tutte le cose giuste per essere parte del branco: il fisico giusto, il look giusto, il lavoro giusto, la fidanzata giusta, perfino le amanti giuste e i giusti amici con cui vantarsene. Tutto da copione. Il copione perfetto che la nostra società richiede per sentirsi ben inseriti e a posto con se stessi e con il mondo. Eppure a Teo evidentemente questo non basta…è sempre irrequieto, insoddisfatto…annoiato perché, sempre per dirla con la Tamaro “la vita degli assogliolati nel branco è una vita priva di mistero e di stupore in cui innamorarsi non equivale ad emozionarsi nel profondo bensì a scegliere razionalmente la persona con i requisiti giusti (estetici o sessuali che siano) o anche una persona qualsiasi, la prima che passa, pur di tacitare il terrore della solitudine…

“La vita senza mistero è come una grande pianura con un cielo grigio…si può camminare per giorni e non si vedrà mai nulla di diverso…non si incontrerà mai qualcosa capace di farci sobbalzare, niente che provochi in noi quel moto dell’animo meraviglioso e gratuito che si chiama stupore…una vita priva di mistero è una vita priva di poesia e incapace di accogliere profondamente la bellezza”.

Ma pressata dall’orrore della scadenza, la nostra società “liquida” (come la definisce il sociologo Zigmunt Bauman) non ha tempo per fermarsi ad assaporare la vita e a sorprendersi , deve invece modernizzarsi o soccombere e paradossalmente “chi la abita deve correre per restare nella stessa posizione poiché la posta in gioco è la salvezza (almeno apparente) dall’esclusione”.

Solo che, se da una parte la solitudine spaventa, altrettanto fa la relazione sentimentale. In una relazione, può succedere di sentirsi anche più insicuri o inadeguati che stando soli e le persone che anelano alla sicurezza sono sempre più spesso anche quelle che poi hanno paura di restarne impigliate e temono che un legame stretto comporti oneri che non vogliono né pensano di poter sopportare.

E’ proprio questo il caso di Teo che da anni appunto tergiversa con la sua fidanzata. Lei vorrebbe andare a convivere e lui annuisce ma continua a tenersi stretto il suo appartamento e i suoi spazi, compresi quelli della sua famiglia che non le ha mai presentato. E’ comprensibile però, per certi aspetti. Con il lavoro giusto, la fidanzata giusta, lo stile giusto e il giusto fascino, tutto è già pianificato, prevedibile anche se noioso. Nulla è più lasciato al caso, non ci sono più sfide, più sorprese si rischia di finire nel languore, nella quotidianità ripetitiva e monotona, ma è un prezzo che molti pagano volentieri perchè in fondo vivere così è in qualche modo più rassicurante, o almeno ci dà questa illusione.

Rendersi conto improvvisamente di desiderare qualcosa o qualcuno che esula dalle proprie quattro certezze, può, infatti, anche terrorizzare …

Forse perchè la divinità che domina i nostri tempi è Narciso: esistiamo per essere visti e magari per suscitare invidia e non possiamo permetterci interferenze che ci scombussolino in un simile contesto.

Non a caso Soldini (che aveva già realizzato il documentario “Per altri occhi” per poi seguire lo scultore non vedente Felice Tagliaferri in un workshop in India) ribalta, in apertura, la situazione che di solito è considerata la norma.

Il film inizia, infatti (grazie ad un colpo di genio del regista) con Teo che sta provando il “Dialogo nel buio”, un percorso esperienziale completamente al buio in cui sono i non vedenti a guidare i normodotati, i quali si ritrovano, forse per la prima volta, alle prese con difficoltà e senso di spaesamento quasi totale.

 

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