Ci sono giorni in cui tutto ciò che capita è speciale, come anche trovare un libro su una bancarella al mercato mentre stai tornando a casa, un giovedì, nel cuore di giugno. Lo vedi e sai che è lui. Ti guarda, e non è la copertina che ti colpisce, nemmeno il titolo, è proprio lui, il libro, che ti attrae, come se ti chiamasse. E’ una di quelle sensazioni che si fanno sentire e non puoi evitare di ascoltare. Potresti andare avanti perché hai fretta ma poi dovresti fermarti girarti e tornare indietro a vedere di cosa si tratta. Io mi sono fermata subito. Ho deciso che l’avrei comprato ancor prima di toccarlo. L’ho consultato solo perché avevo qualche minuto in più, giusto una manciata. Juan Garcìa Ponce… Questo nome mi ricorda qualcosa… e’ yucateco. Ecco, lo Yucatan, il Messico. E’ lì che l’ho sentito. O forse me lo immagino. Juan Garcìa Ponce, se fosse ancora vivo avrebbe ottantadue anni. Apro a caso. Faccio sempre così con i libri. Se trovo una frase che mi piace, che mi parla, allora compro il libro altrimenti ci devo pensare. “Costruiamo tutto con l’immaginazione e siamo incapaci di vivere la realtà semplicemente. Ricordo la scalcinata e antica casa a Tajimara, lo sbocciare dei meli e dei fichi, la volontaria confusione dei quadri di Julia e Carlos e il vuoto dei pomeriggi senza Cecilia”. E’ la stessa frase che trovo in quarta di copertina. Mi piace. La vedo questa casa e anche i quadri.
In un attimo decido che non ci vuole molto per accantonare gli impegni e sfogliare le poche pagine di questo libretto. I colori, questo mi colpisce subito. Ponce non scrive, dipinge. Colora, con le parole, una scena e mentre la osservi ti ci ritrovi dentro. E’ di te che parla, il libro, attraverso la storia di una donna che forse ha inventato, e che potrebbe essere chiunque. Leggi, vedi, ti sposti nel racconto e avverti che non è per raccontare che ha scritto. Scrive perché ama farlo, adora farti sentire a casa, suo ospite, ti mette a tuo agio. Ti afferra per mano, e ti porta in fondo, fino all’ultima pagina senza farti mai sentire sola. Sta sempre accanto a te, è una presenza discreta, ti indica dove guardare, cosa vedere, senza alcuna insistenza. I colori sono la sua voce e lui li usa per sedurti. Si avverte il suo compiacimento e la sua convinzione di poterti sedurre, come se non avessi scampo, ma senza violenza, solo con un gran senso di godimento. Non ha dubbi sul fatto che ti sedurrà. Lo sa fare così bene che sei certo non sappia fare altro. Ti fa sentire unica. Si mette nella condizione di accompagnarti fra le stanze della sua dimora, quella in cui incontra l’amore impossibile di Cecilia. E’ un mondo che forse non esiste, quello che descrive, ma lo fa così bene che immagini sia sempre esistito. Ponce scrive per passione. Essa colora ogni inquadratura. I colori della sua tavolozza li prende in prestito da qualcosa che conosce bene, suo fratello Fernando era pittore.
Forse la sua malattia -soffrì di una patologia degenerativa che gli impediva il movimento- lo porta più in alto. Gli offre un punto di vista e una fantasia che genera compensazione e sublimazione ed è questo, probabilmente, che lo porta a dipingere attraverso il testo. Lui stesso dice: “nella scrittura tutto è fisso; nella vita tutto si muove”.
Per Ponce il segreto resta trasformare tutto in immagine: “Il senso della storia è il meno”, dice “mentre la scrivevo, avevo soltanto presente l’immagine di Cecilia”. Ma Cecilia non esiste. E’ lo strumento che gli occorre per portare la Donna in scena, per elevarla al di sopra delle altre forme, degli altri colori. E lo fa portandoti a conoscerla. Ti avvicina, così tanto a lei che puoi toccarla, percepirla, sentire quasi il calore della sua pelle. Ti conduce fra le pieghe del racconto a osservare le sfumature con cui ogni cosa è stata strutturata per poi scomparire, come il destino di Cecilia. A decomporsi sarà la sua immagine fugace “di bambina fragile, assurda, timida e sfacciata, esasperante, impossibile, esigente e debole, sempre sorprendente e disperatamente indipendente, inaccessibile, così difficile da penetrare e così squilibrata…” al centro di incontri senza futuro che fanno luce sulla vera storia di cui Ponce parla, quella fra Julia e Carlos che nascondono un segreto. Un segreto che salta fuori, però, con una tale naturalezza che ti chiedi se poi era davvero un segreto…
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