GIULLARE

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Giullare

È parola riemersa recentemente nella nostra lingua: «È morto Dario Fo, il sommo giullare» (La Stampa, 13/10/2016), il rinomato cabarettista, attore e regista teatrale Nobel per la letteratura del 1997, il cui indubbio talento ci ha tenuto compagnia per anni. Giullare è parola derivante dal provenzale ‘Joglar’ (lat. iocularis: giocolare), e indica un tipico personaggio tardomedievale, un giocoliere, saltimbanco, buffone e acrobata, che cavava da vivere divertendo col canto, coi suoni, con la danza, con la recitazione di opere altrui o anche proprie esibendosi nei giorni solenni di ricorrenze religiose, di feste nuziali e simili, il pubblico, e soprattutto il Signore di corte. Giullari di Dio vennero chiamati, a quel tempo, i poeti autori delle “laudi” religiose come, per esempio, Jacopone da Todi.

Per estensione, e in senso peggiorativo, giullare viene oggi usato per rinforzare il concetto di buffone, trasformista e opportunista, persona poco seria, di scarsa o nulla dignità che è rivolto di solito agli avversari nei battibecchi politici.

 

Grammelot

È l’imitazione, nel lessico teatrale, della cadenza e della sonorità di un dialetto o di una lingua, ottenuta però senza articolare frasi di senso compiuto. Maestro in questo divertente esercizio era proprio Dario Fo.

 

Menestrello

Diversa è invece la spiega di questa parola: nel Medioevo, menestrello è il giullare di grado elevato, quindi non il semplice saltimbanco o buffone come i giullari minori; per capirci, «Il menestrello che ha cambiato la storia della canzone popolare» come scriveva il manifesto a proposito dell’assegnazione nel 2016 del premio Nobel per la letteratura al cantautore statunitense Bob Dylan.

 

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