LE INSIDIE NEL PIATTO

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6574461983_ac1217760e_mViviamo in un mondo in cui dobbiamo difenderci anche dal cibo che quotidianamente acquistiamo e consumiamo.  In passato il rischio d’essere avvelenati era prerogativa di re e papi (che infatti avevano al seguito i loro assaggiatori personali, pronti all’occorrenza, a morire in loro vece). Oggi invece (molto più democraticamente) tutti noi corriamo costantemente il rischio d’essere avvelenati, anche se magari non proprio (o non sempre) all’istante. Se da una parte, infatti, rischiamo tutti i giorni di beccarci almeno qualche seria infezione, dall’altra, possiamo contare sul fatto di poter contrarre (sul lungo termine) intolleranze o allergie alimentari e/o qualche bel  malessere cronico con cui dover fare i conti a vita. E’ di qualche giorno fa, ad esempio, la notizia per cui diverse persone si sono beccate l’epatite A, per aver mangiato frutti di bosco surgelati, che erano stati lavati con acqua sporca, prima del confezionamento. Il fatto è avvenuto a Torino e le confezioni in questione erano state acquistate in un normale supermercato. Rischi di questo genere però sono sempre più frequenti ed è difficile riuscire ad arginarli poiché le cause che stanno a monte sono molteplici. Si va (tanto per citare alcuni esempi) dall’incuria, alla sofisticazione dei cibi durante la lavorazione industriale, dalle sostanze inquinanti adottate nelle coltivazioni, agli ormoni e agli antibiotici di cui sono imbottiti, ad esempio, gli animali allevati in batteria. Una delle cause più inquietanti poi, è che molti dei prodotti simbolo del made in Italy in ambito alimentare sono diventati il nuovo business di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Sembra che, non contenta di guadagnare solo con il traffico internazionale di droga, la criminalità organizzata si sia lanciata, da qualche tempo, anche nella contraffazione di prodotti gastronomici come, ad esempio il prosciutto di Parma. Così si va dal confezionamento di formaggi con scarti avariati a quello del burro con aggiunta di petrolio, agli  ortaggi coltivati in mezzo a discariche di immondizia. Si chiama agromafia e, come spiegano Mara Monti e Luca Ponzi nel saggio che si intitola appunto “Cibo criminale” (ed. Newton Compton), è un fenomeno in crescita. Lo dimostrano le stime dell’Eurispes: 12,5 miliardi di euro di fatturato all’anno. A peggiorare le cose sembra che la criminalità riesca, il più delle volte, anche ad aggirare i controlli. A spiegarci tali dinamiche, è anche un altro saggio di Peppe Ruggiero che si intitola “L’ultima cena. A tavola con i boss”, pubblicato dalle Edizioni Ambiente. Ma senza andare a scomodare la mafia, basta vedere cosa combinano le aziende alimentari con l’ausilio di alcune tecniche di marketing. A parlarne in modo specifico è  Dario Bressanini  nel suo ultimo libro “Le bugie nel carrello. Le leggende e i trucchi del marketing sul cibo che compriamo” (edito da Chiarelettere). Il marketing è sempre più adoperato come strumento con cui le aziende ammantano i loro prodotti di virtù e qualità che nella realtà dei fatti non esistono, vantando, ad esempio, grande esperienza e una lunga tradizione alle spalle, anche se sono nate l’altro ieri. Non è così difficile, per un esperto, riuscire a trasmettere in modo più che convincente la sensazione che un’azienda sia seria e rassicurante, curando quasi unicamente la qualità dell’immagine al posto della qualità delle materie prime. Così molti prodotti di pessima qualità assumono l’aspetto esteriore di cibi sani e allettanti. In questo libro, Bressanini insegna anche a leggere correttamente le etichette, poiché proprio queste ultime, che dovrebbero aiutare il consumatore, sono piene di insidie e diciture “da interpretare”. Saper leggere l’etichetta di un prodotto è fondamentale se si vuole intraprendere un percorso di consapevolezza e di tutela della propria salute. Ancora due segnalazioni, per chiudere questa prima panoramica sulle insidie del cibo. La prima è il libro “Terra Madre, come non farci mangiare dal cibo”, una lunga riflessione di Carlo Petrini, presidente di Slow Food, su come l’alternativa a un futuro di crisi debba, in qualche modo, partire dall’alimentazione, poiché il futuro del cibo è il futuro della Terra. La seconda riguarda invece i siti di “Libera” (www.libera.it) e di Liberaterra (www.liberaterra.it). Libera è un coordinamento di oltre 1500 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie politico-culturali e organizzative capaci di diffondere la cultura della legalità. Si occupa pertanto di educazione alla legalità democratica e dell’uso sociale dei beni confiscati alle mafie. Tra questi beni sono compresi terreni che vengono utilizzati per coltivare prodotti biologici di qualità.

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