BRANCOMAT

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5542775766_8dbf3f4806_mUna volta, quand’ero bambino, incuriosito dal vigile urbano di piantone all’ingresso del palazzo sede del Comune, domandai a mio nonno perché alla porta ci stesse una guardia. La risposta di un vecchio che in vita sua ne aveva viste tante fu: «Per non fare entrare il buon senso».

Questa lapidaria sentenza mi ritorna alla mente ogni volta che un’azione pubblica (anche privata, per la verità) suscita in me perplessità per i suoi contenuti, gli obiettivi, la formula adottata, le conseguenze e le reazioni che essa solleva. Come nel caso dell’entrata in vigore delle disposizioni previste dal Decreto Crescita 2.0, D.L. n. 179/2012, che obbligano tutti gli esercizi commerciali a dotarsi di POS. Da oggi dunque è possibile pagare ovunque senza contanti.

Vediamo. Le disposizioni obbligano i ‘venditori’ di prodotti e servizi a dotarsi di un POS, acronimo dell’espressione inglese Point Of Sale  (punto di vendita); con esso si identifica il terminale presente in negozi, supermercati o altri esercizi commerciali che vendono prodotti o servizi. Il suo uso permette di trasferire denaro dal conto corrente del cliente a quello dell’esercente, senza esborso di denaro contante. Per poter pagare tramite POS il cliente deve disporre di apposita ‘carta di debito’ – bancomat o prepagata – rilasciatagli dalla sua banca o da altro istituto finanziario, che l’esercente fa leggere al POS, e quindi le persone potranno pagare tramite carte di debito, le così dette “carte bancomat”. L’ordinamento non riguarda invece le carte di credito e le altre tipologie di pagamenti elettronici.

Per essere più chiari: tutti i soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, compresi quelli professionali, avranno l’obbligo di avere un POS, il terminale fornito ai commercianti per accettare il pagamento di prodotti e servizi con carte di debito e di credito. Una misura che riguarda anche i professionisti e che va a combinarsi con quella, contenuta nel D.L. n. 201/2011, che ha vietato i pagamenti in denaro contante tra soggetti diversi in un’unica soluzione di importo superiore o uguale a mille euro.

Inevitabile, e scontata, la levata di scudi dei commercianti fornitori di prodotti e servizi (agenzie di viaggi incluse, per esempio) i cui guadagni – sostengono gli interessati – vengono ulteriormente penalizzati dai canoni e commissioni richiesti dagli istituti di credito che garantiscono i pagamenti. Un esempio? Non è affatto infrequente vedere sulle casse di numerosi esercizi commerciali al dettaglio l’avviso ai clienti: “si accettano pagamenti con ‘bancomat’ per importi superiori a 10 euro”.

Difficile dare loro torto. Come difficile sarà evitare, experientia docet, il prevedibile incremento dei prezzi di prodotti e servizi teso a recuperare l’aumento dei costi di gestione spingendo ancora più in basso i consumi già calati ai livelli degli anni 70 (fonte Istat). Scopo dell’iniziativa, dichiarato senza ambiguità dal legislatore: consentire al fisco di effettuare facili incroci ispettivi per combattere l’evasione fiscale.

Dunque un ‘brancomat’ (da: abbrancare = prendere, ghermire), se ci si passa la spiritosaggine.

Questi i fatti. Che, è presumibile, non accelereranno nel nostro Paese (in considerevole ritardo sugli altri delle economie sviluppate) la diffusione e l’utilizzo della moneta di plastica, così pratica, comoda e ‘promozionale’ (potendo essa fungere nell’intiera filiera del processo da incentivo all’acquisto/spesa: al dettaglio, una facilitazione d’acquisto e pagamento per il consumatore finale; per il commerciante, la possibilità di un parco clienti più ampio e dotato di migliori risorse di spesa; per l’istituto di credito, un utile strumento di negoziazione commerciale retail/wholesaler con clienti della banca/istituto finanziario… e via elencando).

In questo paese a gestione politico-amministrativa stabilmente dirigista, dove il concetto che tutto quello che non è proibito è obbligatorio sta affermandosi, l’utilizzo ex lege del ‘bancomat’ è soggetto a sua volta a una legge non scritta ma tenacemente radicata nel dna legislativo italiano: la mancanza di coerenza e di pragmatismo. Infatti come troppo spesso accade, anche alla promulgazione di questa legge mancano all’appello i decreti attuativi contenenti le indicazioni circa gli eventuali importi minimi, che dovrebbero essere emanati dal ministro dello Sviluppo Economico e dal ministro dell’Economia e delle Finanze… Come si vede, siamo sempre distanti dal sano realismo inglese di churchilliana memoria: «Se due persone fumano sotto il cartello “divieto di fumare” gli fai la multa, se venti persone fumano sotto il cartello “divieto di fumare” chiedi loro di spostarsi, se duecento persone fumano sotto il cartello “divieto di fumare”, togli il cartello».

Mi domando che cosa aspettino a rimuovere il piantone di guardia all’ingresso di quei due ministeri. Scoraggiante.

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