CHI HA TROPPO E CHI NIENTE, O QUASI

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Una delle peggiori conseguenze della crisi è la crescita delle diseguaglianze tra la popolazione (chi ha troppo e chi niente, o quasi) ed è  causa, a sua volta, di un inasprimento dello scontro sociale. Non a caso diversi scrittori, docenti ed esperti hanno cominciato a considerarla come la principale questione sociale dei nostri tempi. In particolare proprio nel nostro paese dove sembra ci sia  il maggior divario fra ricchi e poveri, rispetto al resto dell’Europa. A parlarne è, ad esempio, Emanuele Ferragina, giovane docente “espatriato” in Inghilterra ed esperto di politiche sociali, nel suo libro (recentemente pubblicato da Chiarelettere), che si intitola appunto “Chi troppo chi niente”. “All’ombra di parole d’ordine quali austerity e taglio del debito” spiega Ferragina “si ritrovano a pagare sempre gli stessi, mentre i soliti noti rafforzano i propri privilegi. La nostra penisola è marchiata” specifica “da crescenti disuguaglianze che deprimono l’economia, esasperano lo scontro sociale, e soprattutto riducono l’efficienza del sistema-Paese”. Eppure in Italia esistono anche delle buone leggi (a volerle applicare), che si potrebbero “utilizzare” per tentare di sanare il sanabile o almeno per contenere l’emergenza dilagante della povertà in crescita esponenziale. Leggi che, se conosciute e/o utilizzate, consentirebbero alle aziende di far fronte alla crisi, senza dover licenziare spietatamente i propri dipendenti ma, anzi addirittura assumendone di nuovi o regolarizzando i precari. E’ il caso della legge 863 del’84 che l’Ifoa, di Reggio Emilia, un’azienda che si occupa di formazione, ha deciso (per la prima volta in Italia) di adottare per stipulare i cosiddetti “contratti di solidarietà espansiva”. Tali contratti sono accordi, stipulati tra l’azienda e le rappresentanze sindacali per stabilire una diminuzione dell’orario di lavoro e della retribuzione dei dipendenti al fine di mantenere l’occupazione in caso di crisi aziendale (e quindi evitare la riduzione del personale) o consentire nuove assunzioni. Ed è proprio quello che è successo all’Ifoa, un paio di mesi or sono o poco più. L’azienda ha deciso di stabilizzare 29 lavoratori precari da anni, grazie al “sacrificio” di 85 dipendenti che hanno rinunciato al 5% del proprio stipendio e alla conseguente riduzione dell’orario di lavoro. I suddetti 29 ora sono assunti a tempo indeterminato. Il concetto è di una semplicità sconcertante: lavorare meno per lavorare tutti. Cosa c’è di più equo e solidale? Certo questo implica, per chi si vede decurtare lo stipendio di una cinquantina di euro al mese, un minimo di ridimensionamento del proprio stile di vita. Ma tutto sommato un ridimensionamento e un sacrificio sopportabile se in tal modo si può sostenere chi si trova a rischio di perdere il lavoro. Un ragionamento  persino banale per quanto è semplice. Quello che invece è sconcertante è che questa legge non sia mai stata applicata in precedenza e che su questioni di tale portata, non ci sia un vero dibattito. Le disuguaglianze, anche soltanto quelle economiche, sono un criterio essenziale per valutare il progresso civile e sociale di un paese. Eppure di disuguaglianze, in Italia, si parla ancora troppo poco. A delineare e denunciare chiaramente questa situazione, oltre a Ferragina, sono ad esempio, Maurizio Franzini nel suo libro “Ricchi e poveri. L’Italia e le disuguaglianze (in)accettabili”, pubblicato dall’Università Bocconi (nella collana “Itinerari”) e Bernardo Bortolotti nel suo “Crescere insieme. Per un’economia giusta” pubblicato da La Terza. Bortolotti dice chiaramente che non basta crescere. E’ indispensabile crescere riducendo al contempo le diseguaglianze sociali.  Crescere cioè insieme, sforzarci di rinsaldare  quel vincolo umano essenziale di giustizia che l ‘economia  ha perduto.

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