VIOLENZA SULLE DONNE: IL PUNTO DELLA SITUAZIONE IN ITALIA E IN EUROPA

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Avevo pensato di scrivere un editoriale estivo e leggero (di quelli che si leggono volentieri anche in spiaggia), ma due avvenimenti mi hanno fatto cambiare idea. Così ho deciso di riprendere il tema della violenza nei confronti delle donne anche se  già trattato (almeno in parte) lo scorso mese. Il primo fatto riguarda le minacce subite poco più di una settimana fa dalla parlamentare Mara Carfagna che, con quelle alla presidente della Camera, Laura Boldrini, fanno, come si suol dire, il paio. Il secondo non è propriamente un avvenimento, quanto piuttosto il fatto che mi è capitato di vedere uno speciale Tg1, andato in onda lo scorso 15 luglio da cui sono emersi dati molto interessanti che vorrei riportare perché offrono alcuni spunti di riflessione sulla violenza nei confronti delle donne e su come sia possibile ridurla. Sulle minacce alle donne impegnate in politica nel nostro paese continuerei a sorvolare e a stendere un velo di pietoso silenzio perché sono indice di un’inciviltà tale, che si commenta da sé. Vorrei invece puntare i riflettori su come, noi italiani, riusciamo quasi sempre a distinguerci conquistando primati negativi e ad essere, invece, sempre il fanalino di coda dell’Europa, quando si tratta di risolvere i problemi. A dimostrarlo (cito il suddetto speciale del Tg1), c’è il richiamo che l’Onu ha rivolto al nostro paese, lo scorso anno, in cui si sottolineava che gli sforzi fatti dai vari governi, negli ultimi anni, non sono stati affatto sufficienti a diminuire il numero dei femminicidi o a migliorare le condizioni di vita delle donne. Come al solito, anche in quest’ambito, siamo in controtendenza rispetto agli altri paesi europei. L’Inghilterra per esempio è riuscita a ridurre il fenomeno della violenza sulle donne del 60% in 7 anni (dal 2003 al 2010) grazie al metodo proposto da Patricia  Scotland, ex ministro della giustizia del governo Blair. Il metodo consiste nel creare una staffetta ed un coordinamento non solo tra istituzioni come la magistratura, la polizia e i servizi sanitari, ma con tutte le realtà sociali: dal sistema scolastico a quello dei trasporti: i taxisti, ad esempio, seguono corsi per sapere come comportarsi in caso debbano soccorrere una donna ferita o in fuga. Anche le aziende e i datori di lavoro sono coinvolti in questa rete, riuscendo per altro a trarne anche un vantaggio. Una lavoratrice abusata o minacciata, infatti, produce e rende molto meno rispetto alle altre. E’ dunque anche nell’interesse del datore di lavoro  far sì che una situazione di abuso non perduri nel tempo. Certo l’Inghilterra è sempre stata avanti, rispetto a noi, da questo punto di vista. Già più di una ventina d’anni fa nelle città inglesi venivano pubblicati articoli e distribuiti opuscoli che spiegavano agli uomini come comportarsi nel caso avessero incontrato una donna di notte per strada, per non spaventarla. Uno degli accorgimenti che l’uomo avrebbe dovuto adottare, consisteva, ad esempio, nell’allontanarsi, portandosi sul lato opposto della strada. Anche la Spagna, però, che non ha primati particolari, in quest’ambito, ha seguito l’esempio dell’Inghilterra, adottando un sistema simile a quello consigliato dalla Convenzione di Istanbul, ovvero la convenzione  in materia di prevenzione e contrasto della violenza sulle donne che è stata approvata dal comitato dei ministri dei paesi aderenti al Consiglio d’Europa  nel 2011. Nell’arco di quattro anni la Spagna è riuscita a ridurre il fenomeno del 25% ed è riuscita anche ad istituire un osservatorio sull’immagine della donna, a cui può partecipare liberamente tutta la popolazione, denunciando, ad esempio, pubblicità sessiste o che usano stereotipi femminili negativi. L’osservatorio può arrivare a far ritirare dal mercato qualsiasi pubblicità ritenuta lesiva per l’immagine della donna. E l’Italia, che negli anni ’70 poteva almeno vantare un movimento femminista noto in tutto il mondo, a che punto sta? Negli ultimi 20/30 anni sembrerebbe di essere tornati indietro di secoli. Il movimento femminista è stato spazzato via quasi radicalmente dall’esplosione e dallo stra-potere dei media e della pubblicità che hanno imposto nuovamente un modello unico di donna-barby e/o di donna-velina. La notizia buona però (almeno una c’è) è che il mese scorso, anche il nostro paese ha ratificato la Convenzione di Istanbul. Dopo l’approvazione di Camera e Senato, bisognerà però attendere, prima che possa entrare in vigore, anche quella da parte di altri cinque stati europei. Speriamo bene!

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