IL FENOMENO BABY-SQUILLO: TRA BANALITA’ E FINTE PROVOCAZIONI

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Sul fenomeno delle baby-squillo si è detto molto, ma soprattutto si è fatta molta retorica. Forse troppa e troppo concentrata in un breve periodo. Poi la “buriana” è, più o meno, passata e, dopo esserci più o meno indignati, ci siamo anche stufati, soprattutto della quantità di banalità che si sono riversate sull’argomento. Per carità, c’è anche chi ha fatto osservazioni intelligenti, ma la maggioranza dei personaggi televisivi ha cavalcato il fenomeno con provocazioni stupide e inutili pur di “tenere la scena”.

Credo che il “premio superficialità e provocazione gratuita” debba andare alla puntata di Virus (trasmissione di Rai 2) di due/tre settimane fa. Una sedicente giornalista di cui (vivaddio) non ricordo il nome, sosteneva che ognuno è libero di disporre del proprio corpo come meglio crede e che tutti hanno diritto di raggiungere ciò che vogliono, con i mezzi che vogliono. La tizia in questione aveva appena scritto un libro (e ovviamente coglieva l’occasione per presentarlo) che si intitola “Siamo tutti puttane”. Al che mi si sono affacciate alla mente 3 considerazioni:

1) Non è proprio tutto così semplice. Intanto un adulto che fa sesso con un/una minorenne commette un reato. E se le cose stanno così, ci sarà un motivo.  Ma con molta probabilità (e siamo al punto 2)  l’autrice di un libro come il suddetto non sarà granché interessata a prendere in considerazione trascurabili dettagli come questo. Ciò che la motiva ad intervenire in un dibattito del genere, non è certamente apportare un contributo utile o illuminante, quanto piuttosto dare corpo a provocazioni gratuite, precedentemente studiate a tavolino con l’ufficio marketing della sua casa editrice, all’unico scopo di vendere il suo libro (che quindi mi guarderò bene dal comprare) nonché di ritagliarsi un minimo di visibilità e notorietà mediatica.  Si sa che in Italia basta ricorre a questi mezzucci per ottenere immediatamente audience e che una comparsata in tv (a sparare qualsiasi idiozia possa provocare una parvenza di indignazione) non si nega a nessuno purché si parli di sesso, possibilmente in modo scandalistico o morboso.

D’altronde (e siamo al punto 3) già il titolo del libro è un titolo “da ufficio marketing”, rigorosamente studiato affinché rimanga ben impresso nel cervello dei potenziali acquirenti. E bisogna dire che ci riesce, anche. Sebbene abbia rimosso, infatti, il nome dell’autrice (compresa la sua faccia) il titolo sono riuscita a ricordarlo senza neanche dovermelo appuntare (cose che mi capita di rado). Vuole essere ovviamente un titolo provocatorio che dovrebbe suscitare nelle persone disappunto e indignazione del tipo “ma come ti permetti!!  Se tu ti ci senti (puttana) nessuno ti dà il diritto di estendere la cosa all’universo mondo”. Ed è proprio questo trucchetto a far si che il titolo ci rimanga ben impresso nella mente e si trasformi, subito dopo, in curiosità. Ma lasciamo perdere questa digressione e torniamo al dibattito in sé.

Si sa che la trasmissione in questione è spesso basata su provocazioni abbastanza inutili o costruite ad arte (e probabilmente un certo tipo di pubblico le guarda proprio per questo). A dare man forte alla giornalista in questione c’era, infatti, anche la parlamentare Daniela Santanchè , sulle dichiarazioni della quale però, sorvolerò perché ci sarebbe da scrivere un altro articolo, sempre che valga la pena  farlo,cosa di cui al momento non sono affatto sicura.

Fortunatamente una delle altre ospiti presenti era la scrittrice e sociologa  Lorella Zanardo che ha subito sottolineato, ribattendo alla giornalista, l’importanza di fare un distinguo tra adulti e minori (il fatto che ci sia bisogno di specificarlo è triste e avvilente): una donna adulta può scegliere di fare del suo corpo quel che vuole ma un minore no, soprattutto considerato che dovrebbe essere, per legge, sotto la tutela di qualcuno che abbia un minimo di senso di responsabilità. Gli adulti, ha ricordato la Zanardo hanno dei doveri nei confronti degli adolescenti poiché questi devono ancora formare la loro personalità, quindi sono molto facilmente influenzabili.

Questo vale anche per le miriadi di aspiranti veline, letterine e soubrettine, che si ritrovano a vendere il proprio corpo per ottenere un provino o un contratto nell’ambito dello spettacolo e questo, non perché siano abili e geniali sfruttatrici del loro potere  di seduzione, ma perché sono il prodotto di un meccanismo (considerato purtroppo ormai normale)  che predilige il ricatto sessuale alla meritocrazia. Chi non ce la fa ad approdare alla ribalta mediatica, finisce magari a fare la escort. Tanto ormai, sembra che siano in molti a non percepire neanche più la differenza tra le due qualifiche.

Ma torniamo alle responsabilità che noi adulti dovremmo avere nei confronti dei minori. Intanto dovremmo offrire ai ragazzi diversi modelli ai quali ispirarsi e non solo quello delle veline (o escort) sculettanti e dei calciatori o dei tronisti delle trasmissioni mediaset. Le ragazzine, in particolare, si adeguano a questi cliché di comportamento perché non conoscono altre alternative. E’ questo l’unico modello che assorbono dai media. Esattamente come la moda impone loro, la dittatura della magrezza a tutti i costi.

Ma facciamo di nuovo un passo indietro e torniamo alla trasmissione in questione. La Zanardo ha sottolineato (e questa è un’interessante chiave di lettura) che il rischio è quello che si crei una disparità di carattere elitario. Gli adolescenti che crescono davanti al televisore come unico o prevalente punto di riferimento (cioè la maggior parte), sono condannati a subire quel tipo di visione ristretta del mondo fatta esclusivamente di reality deliranti e pubblicità stereotipate. Gli altri, quelli che hanno famiglie più attente (o anche solo più abbienti) hanno modo, invece, di conoscere altri mondi e altri stimoli magari viaggiando all’estero, frequentando associazioni culturali o artistiche o anche solo passando i week end in una casa di campagna a contatto con la natura e/o con l’attività sportiva sana, ma soprattutto imparando che nella vita ci sono cose belle e gratificanti a cui ci si può appassionare, al di là dell’“intamparsi” nei cessi di scuola a fumare e a prostituirsi per poi andare a comprarsi l’ultimo modello di smartphone su cui passare il tempo a chattare.

Cosa c’è di più triste dell’immaginare gruppi di adolescenti che trascinano (o sprecano) la loro vita tra centri commerciali, cessi di scuola e discoteche? E che, peggio ancora, imparano a concepire la vita come se fosse un enorme supermercato dove tutto si compra e si vende?

 

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