LUCREZIO, CALVINO E LA FISICA QUANTISTICA

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“…Siamo tutti nati dal seme celeste ;

tutti abbiamo lo stesso padre,

da cui la terra, la madre che ci alimenta,

riceve limpide gocce di pioggia,

e quindi produce il luminoso frumento e gli alberi rigogliosi,

e la razza umana,

e le stirpi delle fiere,

offrendo i cibi con cui tutti nutrono i corpi, per condurre una vita dolce

e generare la prole…”.

Sono versi di Lucrezio, e con questi Carlo Rovelli termina le sue “Sette brevi lezioni di fisica” recentemente pubblicate da Adelphi. Non è una novità che i fisici non disdegnino di librarsi in liriche aure: in fondo, l’elemento che accomuna fisica e poesia è la forza d’immaginazione. E appunto servendosi di questa, cioè servendosi della capacità del lettore di immedesimarsi attraverso l’immaginazione, Rovelli riesce in poche e limpidissime pagine a farci percepire le profondità misteriose su cui si sono affacciate le grandi scoperte della fisica negli ultimi cent’anni: della relatività di Einstein e della meccanica quantistica sino alle questioni oggi aperte sulle particelle subatomiche, sul tessuto del cosmo, sulla natura del tempo e della mente.

“Cosa siamo noi in questo mondo sterminato e rutilante?” Si domanda Rovelli.

E come dobbiamo sentirci – mi verrebbe da aggiungere – in questo universo che abbiamo scoperto essere sconfinato? Come rapportarci con l’idea che il nostro sistema solare non è che una delle infinite realtà esistenti nell’universo? “Chissà” spiega ancora Rovelli “quante e quali altre straordinarie complessità, in forme forse addirittura impossibili da immaginare per noi, esistono negli sterminati spazi del cosmo”.

Il pensabile, l’impensabile, l’immaginario, l’inimmaginabile sono, da sempre, i terreni comuni della scienza e della letteratura.

Italo Calvino, che scriveva con l’elegante precisione di un teorema di fisica, vedeva nella scienza e nella letteratura due vie parallele e indipendenti per fronteggiare lo smarrimento dell’uomo  di fronte all’inesplicabile complessità del mondo. “Anche Dante – diceva – attraverso l’opera letteraria cercava di costruire un’immagine dell’universo”. Una vocazione profonda che Calvino individuava come una costante della letteratura italiana da Dante a Galileo: “l’opera letteraria come mappa del mondo e dello scibile, lo scrivere mosso da una spinta conoscitiva che è ora teologica ora speculativa ora stregonesca ora enciclopedica ora di filosofia naturale ora di osservazione trasfigurante e visionaria …”.

La teoria della relatività, la fisica dei quanti, il principio di indeterminazione e lo sviluppo delle geometrie non euclidee hanno portato, nell’arco dell’ultimo secolo,  a una profonda crisi delle certezze. Ma, nello stesso tempo, hanno dato origine a evoluzioni interessanti nella letteratura e nell’arte. A questo riguardo torniamo a Italo Calvino, alle  “Cosmicomiche”, naturalmente, ma anche a molte pagine delle sue “Lezioni Americane”:

“… Nella vita tutto quello che scegliamo e apprezziamo come leggero non tarda a rivelare il proprio peso insostenibile” spiega nella sua lezione dedicata alla leggerezza “Forse solo la vivacità e la mobilità dell’intelligenza sfuggono a questa condanna… Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sembra condannato alla pesantezza, penso che dovrei volare come Perseo in un altro spazio. Non sto parlando di fughe nel sogno o nell’irrazionale. Voglio dire che devo cambiare il mio approccio, devo guardare il mondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri metodi di conoscenza e di verifica… se la letteratura non basta ad assicurarmi che non sto solo inseguendo dei sogni, cerco nella scienza… Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime: come i messaggi del Dna, gli impulsi dei neuroni, i quarks, i neutrini vaganti nello spazio dall’inizio dei tempi…”

Sono  concetti che già troviamo chiaramente espressi, più di duemila anni fa, nel “De rerum natura” di Lucrezio: la nozione di atomo, di vuoto, di energia, l’idea dei “buchi neri” e persino un’intuizione non lontana dalla teoria delle stringhe con la quale la fisica teorica cerca di accordare relatività di Einstein e meccanica quantistica. “Sulla natura delle cose: da Lucrezio al Cern” è appunto il titolo di una conferenza-spettacolo tenuta di recente dal matematico Piergirgio Odifreddi.

Come la letteratura, dunque, anche “la scienza è attività visionaria” poiché – scrive ancora  Rovelli – “il pensiero scientifico si nutre della capacità di vedere le cose in modo diverso da come le vedevamo prima”.

 

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