PARADOSSI PANDEMICI

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E’ dura la vita per l’italiano medio di questi tempi. Oltre ad esser costretto a vivere come se fosse pressoché sempre agli arresti domiciliari (il nostro è tra i lockdown più rigorosi al mondo), è quasi continuamente bacchettato per qualcosa. Appena ci “liberano”, infatti, anche se solo parzialmente, non passa molto tempo prima che ci incolpino della qualsiasi. In particolare sembra proprio che non riescano a farci desistere dagli assembramenti. Di fronte a tentazioni quali l’aperitivo con gli amici e lo shopping compulsivo (quando sia concesso dalla riapertura di bar e negozi), saremmo troppo deboli.

Come se poi fosse tanto facile restare uno o due mesi senza fare un acquisto che non sia unicamente online o che non riguardi qualcosa che si possa trovare in ferramenta o dal tabacchino (sarà per via dei monopolio di stato ma almeno quelli sono sempre aperti). O come se fosse  solo un problema che riguarda la nostra cattiva volontà individuale. Come se la nostra natura potesse esimersi o sottrarsi facilmente dallo sfinimento fisiologico dovuto alla totale (e sottolineo totale) mancanza di qualsiasi stimolo positivo: compresa la speranza che, già dopo il primo lockdown, ha cominciato – giustamente e progressivamente – a venir meno. Per non parlare delle carenze: affettive, di socializzazione, di mezzi (per chi è costretto a tener chiusa un’attività), di serenità (per chi ha paura), di un momento di pace (per chi ha i figli a casa tutto il giorno), etc. etc. etc.

Le aperture/chiusure a singhiozzo poi non aiutano … anche se forse più che a singhiozzo dovremmo definirle a casaccio: i parrucchieri, tanto per citare un esempio, chiusi l’anno scorso a febbraio, riaperti durante le restrizioni natalizie e di nuovo richiusi con la terza ondata, ma le profumerie restano aperte e i centri per la toilette dei cani anche … Così tanto per fare un esempio sulla tendenza alle incongruenze o, se preferite, sull’assenza di un criterio logico.

Forse però il paradosso più macroscopico è quello balzato alla ribalta della cronaca proprio tra ieri e oggi e riguarda le restrizioni per le festività di Pasqua: mentre, infatti, se da una parte io volessi andare a trovare i miei nipoti che vivono in Lombardia, non potrei farlo – almeno stando alle nuove disposizioni – dall’altra, potrei invece, prendere un aereo e sbarcare alle Canarie o in Tailandia. Perché sembra proprio che trasvolare dall’altra parte del mondo sia consentito. Basterebbero il  tampone e una quarantena di 5 giorni al rientro. A questo punto una domanda mi sorge spontanea: in giro per il mondo non c’era il rischio di prendere le famigerate (e fino all’altro ieri temutissime) varianti del virus? Soprattutto per chi non sia ancora vaccinato?

Anche ai miei amici, che hanno la seconda casa in Liguria è vietato trascorrere la Pasqua lì, dal momento che vivono in un’altra regione ma, a quanto pare, sarebbe loro consentito, invece, prendersi una stanza d’albergo in Costa azzurra … E su queste disposizioni non aggiungo altro perché direi che si commentano da sole.

Di fronte a questa e ad altre prospettive – come quella della crisi imminente –  l’italiano medio non si è neanche organizzato per scendere in piazza a protestare, o comunque non come ha fatto quasi tutto il resto d’Europa che pure, ha subito molti meno danni di noi (in Germania ad esempio, gli esercenti costretti a chiudere sono stati,  a differenza di noi italiani, risarciti quasi totalmente delle perdite subite, ciò nonostante le proteste hanno costretto la Merkel a tornare indietro sulle decisioni prese e a ridurre i giorni di lockdown). Eppure, non c’è santo che tenga, per quanto gli italiani stringano i denti e sopportino, sembra che bacchettare i cittadini sia diventato lo sport nazionale per eccellenza di molti tra virologi, politici, opinionisti, presentatori, soubrette televisive e chi più ne ha più ne metta … Questa sindrome (non saprei come altro definirla) è talmente diffusa ormai che vale un po’ per tutte le questioni. Anche su quella del vaccino.

Tv e giornali si occupano solo dei “furbetti” da un lato (sembra che l’entusiasmo o la fretta di fare il vaccino sia già quasi sintomo di scorrettezza) o dei famigerati no vax, dall’altro. Come se gli italiani fossero solo o l’uno o l’altro. Se, infatti, chi si mostra entusiasta, potrebbe essere sospettato di voler fare il “furbetto” alla prima occasione, per coloro che si permettono di avanzare anche solo un mezzo dubbio, non resta invece, che l’etichetta del codardo che pensa solo a se stesso e che non vuole fare la sua parte. Per fortuna ci sono anche i paternalisti (sport preferito dell’italiano medio/colto o dal presentatore in prima serata) i quali ci consentirebbero anche di avere qualche dubbio, ma non più di tanto perché poi, sostengono, si rischia la paralisi emotiva.

Sembra, infatti, che oltre al fenomeno dei virologi super star che impazzano in qualsiasi talk show, da un po’ di tempo ci tocchi sorbirci anche quello degli opinionisti che si improvvisano psicologi e che, dall’alto della loro posizione “privilegiata”, cercano di impartirci, con una certa retorica buonista, lezioni di vita profondamente sagge … trattandoci per dirla tutta, come se fossimo i loro figli adolescenti, un po’ indisciplinati o un po’ disorientati ma soprattutto incapaci di farsi un opinione personale. Forse qualcuno dovrebbe ricordare loro cosa dicevano Cartesio e Voltaire e cioè che il dubbio è l’inizio della conoscenza e che solo gli imbecilli non ne hanno mai.

Non sarebbe più semplice e corretto se ci dessero qualche certezza? O anche solo informazioni chiare e non continuamente contraddittorie? Perché da una parte ci bacchettano o ci fanno la predica ma poi dall’altra ci confondono con mille contraddizioni. Prima ci dicono che il vaccino è sicuro, anzi sicurissimo, poi che non lo è (e addirittura lo sospendono) … poi di nuovo che si, lo è, anzi sarebbe l’unica soluzione … ma poi alcuni scienziati avanzano ancora dubbi … poi di nuovo contrordine, i benefici supererebbero i rischi … e però appena sei convinto di farlo, vien fuori che mancano i rifornimenti … poi invece  sembra che arrivino … ah no, era una notizia senza fondamento … e via di questo passo.

Comunque sia e in ogni caso, è però sempre colpa nostra, mai di chi stia gestendo la questione, né tanto meno dei media … Così come anche quest’estate, quando volevamo andare tutti al mare, soprattutto dal momento che ci avrebbero dato il bonus vacanze. Come abbiamo fatto a non capire che il bonus per le vacanze ce lo davano, in realtà, per spronarci a stare a casa? o che la trovata del Cashback non era certo pensata per incentivarci ad uscire e ad acquistare?

Potrei chiudere con queste domande lasciate aperte, ma in realtà ne avrei molte altre. Sul lockdown per esempio, sempre più esperti cominciano a  domandarsi se non ci siano alternative. E poi queste chiusure sarebbero basate su dati che, come ha fatto notare Mario Giordano, sarebbero reali o “farlocchi”? Il riferimento ovviamente è al caso esploso proprio in questi giorni in Sicilia, riguardo all’assessore alla Salute Ruggero Razza che avrebbe spiegato alla dirigente regionale come avrebbe dovuto comunicare i dati dei decessi per Covid, all’Istituto Superiore di Sanità, cioè “spalmandoli un poco” qua e là.

Ma poi c’era già stato anche il caso della Lombardia, finita in zona rossa, lo scorso inverno, per un errore sempre nella trasmissione dei dati. Un errore non in mala fede ma, pur tuttavia, un errore, e neanche dei più trascurabili. Non sarebbe dunque lecito pensare che magari di errori del genere ne accadono più di quanto sia dato sapere? E che quindi questo sistema delle zone colorate (che abbiamo solo noi in Italia) possa essere basato su fondamenta in realtà ben poco attendibili o valide?

In ogni caso alcune testate, titolavano già qualche settimana fa con asserzioni del tipo: “Coronavirus, Lockdown inutile, meglio fare come la Svezia”. L’articolo è apparso su Repubblica il 15 febbraio scorso. La notizia era poi stata ripresa da molte altre testate e blog, come ad esempio quello di Gian Luigi Paragone. Il Foglio, tanto per fare un po’ di par condicio, aveva invece intervistato, lo scorso 17 marzo, il deputato della lega Claudio Borghi, il quale sosteneva che John Ioannidis, a capo della suddetta ricerca della Stanford University, sia uno dei più grandi epidemiologi del mondo e come in Svizzera, con gli impianti sciistici aperti per tutto l’inverno, non ci sia stato chissà che peggioramento in fatto di contagi. “Chiudere i ristoranti non ha nessun impatto sul contenimento della pandemia” aveva aggiunto “così come non lo aveva la chiusura degli impianti da sci”.

Eppure siamo qui, di nuovo in lockdown, esattamente come un anno fa. “Restiamo distanti oggi per … restare distanti un paio d’anni” scriveva, non a caso, Masse 78, in modo ironico ma sembrerebbe anche scoraggiato, sul suo profilo twitter lo scorso 7 marzo, parafrasando la nota frase pronunciata un anno fa da Giuseppe Conte a motivazione della prima grande chiusura.

La frase in questione, come suppongo tutti ricorderanno, era “Restiamo distanti oggi per abbracciarci più forte domani”. In un altro post invece, sotto la fatidica frase originaria, leggiamo anche la data  (Giuseppe Conte 11/03/2020) e un commento aggiunto sotto che recita “questa frase sarà riportata su tutti i libri di storia dei nostri figli”.

Un’altra tesi a favore dell’inutilità del lockdown sarebbe quella che lo definisce una misura di isolamento che serve solo per patologie da contatto, quindi soluzione perfetta ad esempio per una pandemia di Ebola, ma poco efficace per le altre. Allo stato attuale delle cose, in cui il Covid sarebbe ormai endemico, un lockdown funzionerebbe solo se avvenisse nello stesso lasso temporale in tutto il  mondo e se si vaccinassero al contempo tutte le persone molte velocemente, possibilmente con un prodotto che offrisse una copertura molto alta. A dirlo è il professor Pietro Garavelli, direttore della Struttura Complessa di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera Universitaria “Maggiore della Carità” di Novara ma già corresponsabile della Divisione di Malattie Infettive dell’Ospedale “Guglielmo da Saliceto“ di Piacenza, dove gestiva gli ammalati HIV positivi. Insomma uno che di virus se ne intende. Chi meglio di lui ci può spiegare qualcosa su come dovrebbe essere gestita questa situazione visto e considerato che il Covid 19 è un virus RNA, simile all’HIV?

Il Sars Cov 2, spiega Garavelli, “è  un patogeno nuovo, che deve quindi trovare la sua collocazione nell’ambiente umano, mutando costantemente fino a ridurre la sua virulenza”, cosa che probabilmente richiederebbe anni. In pratica, secondo lui, dobbiamo imparare a conviverci, rispettare le misure prudenziali e curare a casa chi si ammala, quanto più possibile perché chiudere la società e la vita, solo in alcuni luoghi o momenti, non ha davvero senso. Saremmo inoltre di fronte, sempre stando alle sue affermazioni, ad una patologia respiratoria di una certa importanza ma che non si discosta da certe influenze che hanno forme asintomatiche (o pauci sintomatiche) nell’80% dei casi, con ospedalizzazione nel 5/10 per cento dei colpiti. Per non parlare poi della mortalità che sarebbe dell’1%. Certo questo è valido solo se le persone vengono curate subito e non lasciate a casa in vigilante attesa per  poi essere trasportate in ospedale quando ormai è troppo tardi.

Il problema dunque è la contagiosità, non la mortalità e la soluzione (o parte di essa) sarebbe curare con tempestività. Un buon contenimento del problema sarebbe dunque quello di curare i malati a casa, ma a quanto pare, questa sembra essere una soluzione troppo impegnativa perché implicherebbe probabilmente dover rimettere in piedi la medicina di territorio che, in questi ultimi 20/30 anni è stata pressoché rasa al suolo. Il lockdown quindi sembra al momento l’unica soluzione a costo zero per lo stato e al contempo veloce e facile da attuare, seppur a discapito della salute mentale della popolazione che non ce la fa più da molti punti di vista, forse troppi (https://www.5wmagazine.com/2021/02/28/il-rischio-e-che-scoppi-la-rabbia/)


immagine tratta da Pixabay –

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